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05 Dic

Cap.5-4: Una cosa è scegliere di essere soli, un’altra è sentirsi abbandonati

Il crepuscolo in questa valle non rende il paesaggio più rosso, ma lo immerge nella penombra che diventa oscura in pochi minuti. L’oscurità diventò inquietante quando mi ritrovai nella stessa nube di prima e quindi alla stessa altitudine in cui avevo perso la mia strada sull’altro fianco della montagna. Di nuovo persi ogni traccia del mio sentiero. Risalii senza meta e senza vedere. La mia torcia non fece altro che abbagliarmi, la spensi per liberare le mani ed usarle talvolta come guida, e tal volta come scudo. La forza di gravità diventò il mio unico riferimento. Non so di quanto mi fossi alzato di livello o di dislivello, ma ebbi l’impressione che la nuvola si stesse disperdendo. Dopo qualche metro di salita mi trovai fuori dalla nebbia, e sotto i piedi un mare ondeggiante di nuvole copriva la valle. Purtroppo, del sentiero non c’erano più tracce. Era svanito nel nulla.

Dovetti fermarmi. Non avevo bussola, non vedevo le montagne, non vedevo le stelle, mi ero perso di nuovo.

La paura tornò a controllare tutti i miei sensi.

Chiamai, ma non sentì nessuna risposta. Alzai la voce, ma non sentì nient’altro che la mia voce, tremante ed impaurita.

Attorno a me, vidi solo arbusti e rocce, tutti uguali.

Eccomi di nuovo senza riferimenti.

Vedevo tutto, ma non vedevo niente.

Le vene pulsavano nelle mie tempie.

Mi resi conto che la natura mi stava giocando un altro brutto scherzo.

A me, il minuscolo uomo senza credo né fede.

A me, l’arrogante che non aveva paura di niente.

A me, quel mezzo uomo che si dava delle arie su tutto e con tutti.

Io… mi trovai solo con quel presuntuoso chiamato “me stesso”…

Mi dirai “ma eri solo comunque…” e probabilmente aggiungeresti “hai scelto di affrontare questa sfida da solo, nessuno ti ha obbligato a farlo, e da solo l’affronterai”. E sarebbe mille volte giusto. Ma una cosa è scegliere di essere soli, un’altra è sentirsi … abbandonati.

Fu più forte di me… dovetti urlare: “Heeeeei, C’è qualcuno? Qualcuno mi sente ?”…

Dovetti farmi sentire!

“Daaaaay-O”

e poi di nuovo, con una voce più forte:

“Daaaaay-O

Is-ede Day-O

Day light come and me want go home…”

Cantai la canzone della mia compagnia a squarciagola, senza ritmo e senza cadenza. Non potei fare altro che gridare. Anzi, non cantavo, urlavo.

“DAAAAAAY – OOOOOOO…”

Il mio canto diventò un ululato che si confondeva con quello dei lupi e che mi faceva rizzare i capelli.

Nelle valli, c’è sempre stata l’eco. Anche l’eco più debole del mondo sarebbe stata più bella di quel silenzio micidiale.

Qui invece, la mia voce si scioglieva nel nulla… svaniva.

Mi accasciai per terra. Il sangue non scorreva più nelle mie vene.

Stavo per svenire.

Alzai la testa verso il cielo e pregai.

All’inizio, mi vergognai di me stesso perché mi ricordai la canzone di Jacques Brel che diceva “…Io, che non ho mai pregato Dio che quando avevo mal di denti”.

Ma poi, fregandomene del suo sarcasmo e delle sue idee, pregai supplicando il firmamento.

Alzando la testa verso il cielo, i miei occhi videro la luce.

Non nel senso figurativo, ma in quello reale: vidi la luce di un fuoco, a circa un’ora di strada.

Le forze e il sorriso mi tornarono in un batter d’occhio. Ripresi il mio cammino. È vero che ero senza nessun sentiero sotto i piedi, ma questa volta ebbi un vero riferimento: la luce.


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